SPONDILITE ANCHILOSANTE
Che cosa è?
La spondilite anchilosante (SA) è una malattia infiammatoria cronica a eziologia sconosciuta che colpisce prevalentemente lo scheletro assiale (articolazioni sacro-iliache e colonna vertebrale), ma che può coinvolgere anche le articolazioni e le entesi periferiche (Braun J, Sieper J. 2007). Rientra nel gruppo delle cosidette spondiloentesoartriti sieronegative (SpA), un insieme di malattie reumatiche infiammatorie che condividono aspetti genetici, patogenetici e clinici (Boonen A. et al. 2003).
La forma classica (primaria o idiopatica) è quella che insorge al di fuori di ogni altra condizione, e va distinta dalla secondaria che può comparire in corso di psoriasi, artrite reattiva o malattia infiammatoria intestinale (Garlaschi G., Martino F, 2007).
Il tipico sintomo di presentazione è rappresentato da una lombalgia cronica che si associa a rigidità del rachide. Il dolore è tipicamente a esordio insidioso, profondo e mal definito, prevalentemente localizzato nella regione delle sacro-iliache e talvolta può essere riferito verso la regione della cresta iliaca o del grande trocantere.
La malattia è caratterizzata dal progressivo irrigidimento del rachide con protrusione anteriore del tratto cervicale, l’ipercifosi dorsale, l’abolizione della lordosi lombare.
I pazienti affetti da spondilite anchilosante possono frequentemente sviluppare osteoporosi e presentare quindi un elevato rischio di fratture (Sambrook PN, Geusens P. 2012).
La sintomatologia non interessa solo lo scheletro, ma possono essere presenti manifestazioni oculari (l'uveite anteriore acuta è la manifestazione extra-articolare più frequente), intestinali (il 60% dei pazienti con SA presenta una flogosi cronica intestinale), cardiovascolari (aortite ascendente, insufficienza aortica, anomalie di conduzione), polmonari, renali, neurologiche (causate da fratture o fenomeni compressivi) (Rodrigues CE et al. 2012).
Epidemiologia
La prevalenza della spondilite anchilosante varia, a seconda dell'etnia e dei criteri classificativi utilizzati, tra lo 0,2% e l'1,8%. Raramente la condizione insorge dopo i 50 anni ed è più frequente nel sesso maschile con un rapporto F/M di 1/2-1/3 (Garlaschi G., Martino F, 2007).
Eziopatogenesi
Nonostante l'esatta eziologia della spondilite anchilosante sia sconosciuta, la stretta correlazione con l'antigene HLA B27 (presente nell'80%-95% dei pazienti e solo nell'8% della popolazione generale) suggerisce che la malattia è dovuta ad una risposta immune a stimoli ambientali (infettivi) in soggetti geneticamente suscettibili. L'antigene HLA B27 appare quindi come un fattore di suscettibilità importante, ma non è sufficiente per l'insorgenza della malattia (Garlaschi G., Martino F, 2007).
Appare probabile che altri geni, appartenenti al sistema HLA ma anche esterni a questo, in associazione a fattori ambientali e/o endogeni, concorrano in maniera importante ai meccanismi che portano allo scatenamento e alla cronicizzazione del processo patologico (Cauli A, et al. 2002).
Il sito primario di danno nella spondilite anchilosante è l'entesi, cioè l’inserzione ossea di legamenti,
tendini, fasce e capsule articolari (D’Agostino MA, Olivieri I. 2006). Inizialmente il connettivo fibroso lasso subcondrale assume aspetti granulomatosi con infiltrazione da parte di plasmacellule, linfociti, mastociti, macrofagi e condrociti. Coesistono, inoltre, edema interessante lo spazio midollare adiacente e difetti erosivi della corticale ossea dovuti a un incremento dell’attività osteoclastica. In seguito, l’entesite è caratterizzata da fibrosi per stimolazione dei fibroblasti, da eventuale metaplasia cartilaginea e proliferazione di tessuto reattivo che sostituisce l’entesi. Le successive fasi di erosione e neoformazione sul versante osseo dell’entesi sono alla base del processo detto osteite.
Tipici di questa malattia sono i processi di ossificazione dei legamenti, tendini e capsule articolari e la formazione di sindesmofiti, che derivano dall'entesite a carico delle fibre esterne dell'anulus fibroso del disco intervertebrale e dell'osteite delle zone di inserzione ai piatti vertebrali (Garlaschi G., Martino F, 2007).
Trattamento
Gli scopi della terapia della spondilite anchilosante sono: ridurre l’intensità del dolore e della rigidità, migliorare la funzione, contrastare la progressione del danno radiologico e prevenire la disabilità (Olivieri I. et al. 2003).
Mentre in passato il trattamento della spondilite anchilosante era limitato all'impiego di corticosteroidi e di anti-infiammatori non steroidei, negli ultimi anni l'introduzione dei farmaci "biologici" ha radicalmente modificato la strategia terapeutica (D’Angelo S. et al. 2008; Mease PJ 2008). L'impiego degli anti-TNFá (farmaci anti tumornecrosis factor á) può tuttavia comportare l'insorgenza di effetti collaterali di tipo diverso (Gutierrez M, et al. 2010).
Numerosi studi clinici hanno evidenziato l'efficacia della fisiochinesiterapia per la riduzione del dolore e per migliorare la funzione articolare nei pazienti affetti da spondilite anchilosante (Vanti C, et al. 2007).
Interventi di osteotomia vengono utilizzati per correggere deformità in cifosi, mentre interventi di fusione trovano indicazione nei casi di dolore intrattabile e/o instabilità vertebrale conseguenti a pseudoartrosi e fratture vertebrali.
BIBLIOGRAFIA
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Dott.ssa Viola Testi
Fisioterapista
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