SINDROME ALGODISTROFICA 
Che cosa è?  
 
La letteratura offre un panorama così variegato in termini di eventi predisponenti o scatenanti, ipotesi patogenetiche, manifestazioni cliniche, criteri valutativi, approcci terapeutici e studio delle modalità di risposta ai diversi trattamenti utilizzati che rende estremamente dif?coltoso trarre delle conclusioni definitive riguardo la sindrome algodistrofica (Varenna M. 2011). 
Nel tentativo di uniformare il più possibile le diverse casistiche, sotto l’egida dell’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore, è stata pubblicata nel 1994 l’attuale de?nizione dell’entità clinica denominata “Complex Regional Pain Syndrome” (CRPS) ovvero “Sindrome dolorosa regionale complessa”. Tale affezione è stata quindi definita come una: “sindrome che solitamente si sviluppa a seguito di un evento scatenante con manifestazioni cliniche sproporzionate rispetto alla noxa patogena ed è associata alla presenza di edema, ad alterazioni del microcircolo cutaneo, ad un’importante sintomatologia dolorosa e caratterizzata da disturbi sensitivi quali l’allodinia e l’iperalgesia” (Merskey H et al. 1994). Nell’ambito della CRPS veniva poi eseguita una successiva distinzione tra il tipo I, riferibile alla classica sindrome algodistrofica, e il tipo II che corrispondeva alla sindrome causalgica, conseguente cioè ad una lesione nota di un ramo nervoso (Stanton-Hicks M. et al. 1995). 
Accanto alle forme “complete” nelle quali la malattia presenta le classiche manifestazioni cliniche che tendono ad evolvere in stadi successivi, va segnalata la presenza di forma che non presentano il tipico corteo clinico e sintomatologico (forme “incomplete o a esordio “freddo”). 
Epidemiologia  
Dai risultati di un’indagine condotta tra tutti gli abitanti di un distretto nordamericano emergono un tasso d’incidenza del 5,4/100.000/anno e una prevalenza di 20,5/100.000 (Sandroni P et al. 2003). 
La sindrome algodistrofica sembra essere più frequente nel sesso femminile, con un rapporto compreso tra 2:1 e 4:1 e nelle decadi intermedie di vita, tra i 40 e i 60 anni. Nessuna fascia d’età sembra tuttavia essere esente, ivi compresa l’età pediatrica e la prima adolescenza (Varenna M. 2011). 
 
Eziopatogenesi  
Un dato ampiamente condiviso è che circa la metà dei casi (dal 40 al 65%) riconosce quale evento scatenante un trauma (frattura, distorsione, intervento chirurgico, microtrauma ripetuto) e che può interessare strutture scheletriche, articolari o semplicemente i tessuti molli (Veldman PHJM et al. 1993). È comunque dibattuto se la comparsa della sindrome algodistrofica possa dipendere dalla gravità della frattura, dalle modalità di riduzione della stessa e dalle procedure di immobilizzazione. Esistono in tal senso segnalazioni che riportano come la confezione di un apparecchio gessato troppo stretto rappresenti un possibile fattore predisponente (Field J et al. 1994). Tra le altre situazioni cliniche che più raramente sembrano costituire eventi predisponenti vanno riportati l’infarto miocardico e le sindromi emiplegiche. Tuttavia in una percentuale variabile dal 10 al 26% a seconda delle diverse casistiche, la comparsa di algodistrofia non consente di identificare alcun evento o patologia ad essa correlabile (Varenna M. 2011). 
 
Le più recenti acquisizioni ottenute su pazienti attraverso test biochimici estremamente sensibili applicati a metodiche particolari quali la microdialisi transcutanea, hanno spostato le interpretazioni più condivise verso i processi di neuro?ogosi locale in grado di innescare la malattia. L’ipotesi si basa sull’osservazione che manifestazioni cliniche tipiche della sindrome algodistrofica, così come la sintomatologia dolorosa, possono essere determinate dalla sensibilizzazione diretta dei nocicettori e dei meccanocettori a bassa soglia da parte di sostanze vasoattive rilasciate a livello delle stesse terminazioni periferiche. Questo fenomeno è in grado di determinare un’aumentata permeabilità del microcircolo, presupposto fondamentale sia dell’edema sottocutaneo clinicamente apprezzabile, sia dell’edema midollare osseo, osservabile talvolta tramite risonanza magnetica nelle prime fasi di malattia. 
Il rilascio locale di neuropeptidi proin?ammatori e di alcune citochine può rappresentare l’evento che innesca e mantiene le prime fasi di malattia, mentre nelle fasi successive il disturbo del microcircolo e il danno microvascolare sembrano essere i meccanismi patogenetici responsabili dell’evoluzione clinica osservabile nella maggior parte dei casi verso lo stadio caratterizzato dalla scomparsa dell’edema e dalla presenza di una subcianosi e un termotatto diminuito (Maihöfner C. et al. 2010). 
I fenomeni ipossici locali e la conseguente acidosi che trovano riscontri negli studi ?siopatologici ed istologici potrebbero rendere conto anche di uno degli aspetti più tipici della sindrome algodistrofica e cioè la precoce comparsa di osteoporosi regionale (Varenna M. 2011). 
 
Trattamento  
 
Attualmente non esistono nella letteratura medica delle linee guida unanimemente condivise circa il trattamento ottimale della sindrome algodistrofica. 
Gli unici dati unanimemente condivisi sono quelli relativi alla prevenzione, che consiste nella rapida mobilizzazione e in un’efficace terapia analgesica da attuarsi in corso di situazioni cliniche predisponenti. Sempre in termini preventivi, l’impiego di Vitamina C, in ragione delle proprietà antiossidanti, sembra essere in grado di ridurre significativamente l’incidenza della CRPS I in soggetti andati incontro a frattura di Colles (Zollinger PE et al. 1999). 
Nelle fasi più iniziali di malattia il trattamento fisioterapico viene raccomandato dalla quasi totalità degli Autori. Tale approccio, associato il più delle volte a un’adeguata copertura della sintomatologia dolorosa ottenibile eventualmente con gli analgesici maggiori, ha lo scopo di ridurre l’edema locale e di migliorare la limitazione funzionale (Varenna M. 2011). 
La classe farmacologica che a tutt’oggi sembra offrire le maggiori garanzie di efficacia è rappresentata dai bisfosfonati (Forouzanfar T. et al. 2002). 
 
BIBLIOGRAFIA  
Field J, Protheroe DL, Atkins RM. “Algodystrophy after Colles fractures is associated with secondary tightness of casts”. J Bone Joint Surg Br 1994; 76:901-5. 
Forouzanfar T, Köke A, van Kleef M et al. “Treatment of complex regional pain syndrome type I”. Eur J Pain 2002; 6:105-122. 
Maihöfner C, Seifert F, Markovic K. “Complex regional pain syndromes: new pathophysiological concepts and therapies”. Eur J Neurol 2010; 17:649-60. 
Merskey H, Bogduk N. “Classi?cation of chronic pain: descriptions of chronic pain syndromes and de?nition of terms”. Seattle: IASP Press 1994. 
Sandroni P, Benrud-Larson LM, McClelland RL, et al. “Complex regional pain syndrome type I: incidence and prevalence in Olmsted county, a population-based study”. Pain 2003; 103:199-207. 
Stanton-Hicks M, Jänig W, Hassenbusch S, et al. Re?ex sympathetic dystrophy: changing concepts and taxonomy. Pain 1995; 63:127-33. 
Varenna M. “L’inquadramento clinico della sindrome algodistrofica (Complex Regional pain Syndrome type I). Recenti acquisizioni”. GIOT 2011; 37:227-234. 
Veldman PHJM, Reynen HM, Arntz IE, et al. “Signs and symptoms of re?ex sympathetic dystrophy: prospective study of 829 patients”. Lancet 1993; 342:1012-6. 
Zollinger PE, Tuinebreijer WE, Kreis RW et al. “Effect of vitamin C on frequency of reflex sympathetic dystrophy in wrist frac tures: a randomised trial”. Lancet 1999; 354:2025-2028. 
 
 
 
 
Dott.ssa Viola Testi 
Fisioterapista 
 
 
 
 
             
 
 
 
 
LIBRI DI GIACOMO MARGIACCHI 
 
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